Fonte: www.quotidiano.net

Padova, 1 marzo 2017 – Aborto sempre più difficile. Mentre la politica discute sull’iniziativa della Regione Lazio d’indire un bando per l’assunzione di ginecologi non obiettori, in Veneto una donna di 41 anni che voleva interrompere la sua terza gravidanza è stata respinta da 23 ospedali del Nordest. Un girone infernale: per 23 volte la signora ha ricevuto una risposta negativa – tra l’obiezione di coscienza e la burocrazia – prima di vedersi accolta la richiesta. La storia risale al 2015, ma le cose non sono cambiate.

legge194

Aborto, 7 ginecologi su 10 sono obiettori di coscienza

ODISSEA IN 23 TAPPE – La donna, una professionista padovana rimasta incinta nonostante l’uso della spirale, si è rivolta all’ospedale della sua città, Padova, dove ha ricevuto il primo diniego, e dopo altri 23 ‘no’ è finita nello stesso nosocomio, dove la sua richiesta è stata accolta soltanto grazie all’interessamento della Cgil, cui si era rivolta per disperazione.
Già madre di due figli, riporta ‘Il Gazzettino’, la 41enne, nonostante tutte le precauzioni per non rimanere incinta, si è accorta lo scorso dicembre di aspettarne un terzo, non atteso. Con una decisione sofferta, ha deciso di procedere all’interruzione volontaria di gravidanza entro i primi 90 giorni, come prevede la legge 194, non prima di essersi consultata con uno psicologo.
Era ormai al secondo mese avanzato e doveva fare in fretta. All’ospedale di Padova, la sua città, come poi in altri 22 nosocomi del Veneto, del Friuli Venezia Giulia e del Trentino Alto Adige, la donna si è sentita respingere la richiesta di abortire, con giustificazioni sempre diverse ma simili: ‘non c’è posto’, ‘ci sono le vacanzè, ‘sono tutti obiettori’, ‘il problema non è solo trovare un medico, ma anche un anestesista non obiettore di coscienza’, ‘si rivolga alla sua Ulss’ e così via.

“E’ offensivo e inutilmente doloroso”
Stremata, ma anche preoccupata per i tempi stretti che impone la legge, la 41enne si è rivolta come ultima spiaggia alla Cgil, che è riuscita a sbloccare la situazione proprio nell’ospedale di Padova, il primo che aveva negato l’intervento. “Mi domando che senso abbia fare una legge per dare diritto di scelta e poi non mettere nessuno nelle condizioni di farlo – ha detto la donna – Lo trovo offensivo, inutilmente doloroso”.

LA REGIONE VENETO – L’assessore alla sanità Luca Coletto si è detto convinto che se in una struttura non c’è posto, o il ginecologo non riesce a praticare l’aborto, debba sentire i ginecologi di altri ospedali, trovando una soluzione. “Se non è andata così – ha aggiunto – faremo tutte le verifiche del caso per capire cosa è successo”. Di sicuro i carabinieri dei Nas indagheranno su quanto accaduto alla donna: cercheranno di accertare le motivazioni e le circostanze per cui in così tante strutture della Sanità del Nord Est non sarebbe stato garantito regolarmente il diritto previsto dalla legge 194.

L’INTERVENTO CGIL – Alessandra Stivali, segretaria confederale della Cgil padovana, è la persona che nel 2015 seguì da vicino la vicenda della 41enne. “La cosa grave – spiega – è che questa può sembrare una situazione limite, ma non è neppure l’unica. Altre volte, soprattutto con ragazze straniere che chiedevano di abortire, ci siamo trovati davanti a interminabili di difficoltà e dinieghi, per una prestazione sanitaria che dovrebbe essere garantita dalla legge, la 194″. Alla fine è stata sufficiente, spiega Stivali, solo una piccola ‘pressione’ sugli operatori della stessa azienda di Padova, che al primo tentativo aveva respinto la signora. In sostanza, sono stati contattati dal sindacato i responsabili del reparto di ostetricia e ginecologia che sono riusciti a trovare un posto per praticare l’Ivg, entro il termine di scadenza.

Dopo questa esperienza la Cgil del Veneto chiede a gran voce che gli ospedali assumano medici non obiettori di coscienza. Nella regione infatti l’80% dei ginecologi risulta obiettore di coscienza e questo rende difficile il pieno rispetto della legge 194 sull’ aborto. Legge che, ricorda la Cgil, non liberalizza il ricorso all’ aborto ma prevede invece una casistica ben precisa per potervi ricorrere, a cui fanno tra l’altro contorno percorsi di educazione sessuale e alla maternità. Posto che anche essere obiettori di coscienza è un diritto, “non è concepibile costringere le donne a intraprendere vereodissee per vedersi garantire il rispetto di una legge dello Stato”, conclude il sindacato.