Fonte: www.redattoresociale.it
Ciò che gli accomuna è la passione. Sono i ricercatori che studiano la Sla. La Fondazione Arisla, in occasione ‘Giornata delle Malattie Rare’, prevista come sempre l’ultimo giorno di febbraio, ha deciso di presentare la storia di alcuni di loro. Formati in Italia, hanno vissuto esperienze di dottorato all’estero, chi all’Università di Cambridge o al Children’s Hospital a Philadelphia o ancora alla Rockefeller University di New York (USA). La scelta di diventare un ricercatore per molti è “apparsa chiara sin dal liceo”, grazie alla passione trasmessa dal proprio professore di biologia, per altri ‘era già scritto nel DNA, avendo in famiglia già un medico e un fisico’. Per qualcun altro è stata una scelta maturata nel tempo. Tra gli incontri che hanno segnato la loro vita o tra i modelli a cui ispirarsi, emerge la figura di Rita Levi Montalcini e del giapponese Shinya Yamanaka, vincitore del premio Nobel nel 2012 per gli studi sulle cellule staminali.
Oggi nel nostro Paese sono 6 mila le persone che vivono con la Sla, malattia neurodegenerativa che porta alla paralisi progressiva di tutta la muscolatura volontaria, andando a colpire anche la muscolatura che consente di articolare la parola, di deglutire e respirare. AriSLA ha investito oltre 10,6 milioni di euro in attività di ricerca, supportando in questi anni 62 progetti. Oltre 250 sono i ricercatori che hanno collaborato per la realizzazione degli studi: 90 ricercatori hanno meno di 40 anni e 136 sono donne. “Il nostro sguardo attento al paziente e ai suoi bisogni – afferma il presidente AriSLA, Alberto Fontana – ci avvicina ancora di più al messaggio scelto quest’anno per il Rare Disease Day: ‘Con la ricerca le possibilità sono infinite’. Siamo convinti che grazie alla ricerca, effettuata con metodi rigorosi, sia possibile abbattere ogni limite e aprire la porta alla speranza per milioni di persone che vivono in tutto il mondo con una malattia rara”. Queste le storie dei sei ricercatori Sla, vincitori della Call Arisla 2016.
Fabrizio D’Adda di Fagagna |
FABRIZIO D’ADDA DI FAGAGNA. Coordinatore scientifico del progetto ‘DDRNA&ALS’. Lavora presso l’IFOM – The FIRC Institute of Molecular Oncology, Milano. “Non credo nei momenti ‘Eureka’, – sototlinea – la mia scelta di diventare ricercatore è maturata nel tempo. La sensazione che provavo in laboratorio era quella di stare al Luna Park senza pagare il biglietto! Cerco la diversità e non l’omologazione in ogni aspetto: più una scoperta è inaspettata, più per me è stimolante”. Perché studiare la Sla? “Sono in una fase della mia vita e della mia carriera in cui mi interessano studi che abbiano un impatto non solo sulla conoscenza, ma più direttamente sulle persone. Da sempre mi sono interessato di studiare cosa succede quando il Dna in una cellula si rompe. Di recente abbiamo riscontrato che esiste un legame tra il danneggiamento ed il suo riparo e la Sla: il nostro obiettivo adesso è comprendere meglio questo legame e perché una cellula in un malato di Sla non risponde correttamente ad una rottura del Dna”. La Sla, spiega, “è una malattia davvero devastante. A colpirmi è il dramma che i pazienti vivono, il fatto di essere lucidi mentalmente e allo stesso tempo imprigionati in un corpo che non controllano e limita il loro essere”. Il sogno nel cassetto? “Riuscire a portare qualcuna delle mie scoperte a fruizione dei pazienti Sla: questo sarebbe certamente un grosso motivo di soddisfazione”.
Raffaella Mariotti |
RAFFAELLA MARIOTTI, coordinatore scientifico del progetto ‘ExoALS’. Lavora presso l’Università degli Studi di Verona. “Credo che mi abbia molto influenzato avere un papà medico: – racconta – ricordo le conversazioni con lui, anche banalmente su come curare una ferita, o le letture delle riviste scientifiche che circolavano in casa”. “Per me la passione per la ricerca è fondamentale, è il motore che mi spinge tutti i giorni. Perché sono più gli insuccessi che i successi che si accumulano quando fai gli esperimenti e se non hai la passione che ti sostiene è più difficile andare avanti”. Si occupa di Sla dal ’96: “Vedo quanta sofferenza c’è da parte della persona ammalata, di cui mi colpisce il desiderio di vivere, nonostante ci sia la certezza che al momento non esista una via di uscita. Ogni tanto mi chiedo cosa farei io se capitasse a me. Poi penso ad un’associazione locale di un gruppo di pazienti che è testimonianza di come una forte disperazione possa diventare una fonte di speranza incredibile. Io sento su di me, quotidianamente, la responsabilità verso queste persone”.
Antonia Ratti |
ANTONIA RATTI, coordinatore scientifico del progetto ‘SumALS’. Lavora presso l’IRCCS Istituto Auxologico Italiano, Milano. “Se sono oggi una ricercatrice è grazie alla mia professoressa di scienze al liceo che mi ha fatto appassionare alla biologia. Un altro incontro che mi ha segnato la vita è quello che ebbi con Rita Levi Montalcini in visita all’Istituto in cui lavoravo da poco. – racconta – Vedere questa donna minuta ed elegantissima nel suo vestito grigio-argento (aveva già 84 anni) aggirarsi nei laboratori con l’entusiasmo di una ragazzina mi colpì molto”. “Mi sono ritrovata quasi per caso a lavorare sulla Sla – spiega – nel laboratorio del Prof. Silani, neurologo che si occupava già da anni di questa malattia. La studio ormai da 12 anni e ad oggi non farei cambio con altri argomenti di ricerca. E’ una malattia molto complessa che pone molte sfide ai ricercatoriì. Purtroppo i tempi della ricerca non vanno di pari passo coi tempi della malattia, ma in questi ultimi anni ho visto straordinari e inimmaginabili avanzamenti”. “Cercare di contribuire a riempire i tasselli ancora mancanti di questo enorme puzzle che è la Sla”: questa la motivazione più forte.
Tania Zaglia |
TANIA ZAGLIA, coordinatore scientifico con il progetto ‘Snop’. Lavora presso il VIMM (Venetian Institute of Molecular Medicine) di Padova. “Ad influire sulla mia scelta è stato anche aver vissuto in prima persona esperienze con familiari ammalati: a mio papà, a mio zio e a una cugina è stata diagnosticata la ‘sindrome di Alport’, una malattia genetica che porta ad insufficienza renale”, racconta. “Oggi studio la Sla per capire quali relazioni ha con quanto oggi ho appreso sulle malattie cardiovascolari, ambito su cui mi sono focalizzata prevalentemente nel mio percorso di ricerca, adottando l’optogenetica, una nuova biotecnologia. La motivazione costante è che ogni cosa che si fa è finalizzata a contribuire ad aggiungere un nuovo tassellino al puzzle della conoscenza e a sviluppare terapie che diano benefici concreti alle persone ammalate. Quello che mi colpisce delle persone con SLA è il contrasto netto tra lo sguardo, che ha tanta voglia di vivere, e il loro corpo, che non risponde più. Tra gli hobby c’è quello di fare lunghe passeggiate, spesso rivelatesi utili, visto che mi è successo di risolvere ‘enigmi’, irrisolti qualche minuto prima in laboratorio. Uno dei sogni nel cassetto si è realizzato grazie al grant vinto da AriSLA: diventare ‘group leader’. Il massimo sogno rimane quello di poter vedere il volto di una persona alla quale le mie ricerche abbiano contribuito a migliore la qualità e l’aspettativa di vita.
Marta Fumagalli |
MARTA FUMAGALLI, coordinatore scientifico del progetto ‘GPR17ALS’. Lavora presso il Dipartimento di Scienze Farmacologiche e Biomolecolari, Università degli Studi di Milano. Diventata ricercatrice perché “stregata dal fascino di fare ricerca durante il periodo di tirocinio in laboratorio per la mia tesi di laurea”, non ha più abbandonato gli studi: “Rriflettevo in qualsiasi momento della giornata sui risultati ottenuti, su nuove possibili idee ed esperimenti, anche al di fuori delle mura del laboratorio”. “Studio la Sla – racconta – perché spero che le mie ricerche sul recettore GPR17 possano dare un contributo all’identificazione di nuovi possibili approcci per il trattamento di questa malattia. A motivarmi nel mio lavoro è pensare che le mie scoperte potranno un giorno essere di aiuto ad altr”i. Delle persone malate di Sla “ammiro il coraggio e la forza di convivere con la malattia”.
Alessandro Rosa |
ALESSANDRO ROSA, coordinatore scientifico del progetto ‘StressFus’. Lavora presso il Dipartimento di Biologia e Biotecnologie Charles Darwin, Università “La Sapienza” di Roma. “Sono diventato ricercatore perché probabilmente era nel mio Dna: mio padre è un fisico e mia madre è medico”. “Nel 2008-2009 – racconta – ero ancora a New York e due scoperte chiave, in quegli anni, mi hanno portato quasi per caso a studiare la Sla La prima è l’identificazione di mutazioni legate alla Sla in proteine che hanno un ruolo nel metabolismo dell’rna. La seconda, quasi contemporanea, è la derivazione delle prime cellule iPSC da pazienti Sla. A motivarmi nel mio lavoro è la curiosità di capire i meccanismi fondamentali che fanno funzionare una cellula e di comprendere come le malattie genetiche alterino questi meccanismi. E facendo ricerca biomedica, ho la speranza che in un futuro il nostro lavoro porti dei benefici ai pazienti. Non mi è mai capitato di incontrare un malato di Sla, ma mi piacerebbe spiegare cosa facciamo in laboratorio a chi con la malattia convive tutti i giorni. Il mio sogno nel cassetto? Che un giorno una mia scoperta finisca su un libro di testo del primo anno di biologia, senza il mio nome vicino”.
© Copyright Redattore Sociale